Corpi e sguardi in dialogo

L'importanza dell'ascolto e della relazione con l'altro nella Psicomotricità

Il termine psicomotricità coniuga due concetti fondamentali: l’aspetto motorio e quello psicologico/emotivo, entrambi iscritti in una dinamica di profonda relazione.

Il corpo diviene e rimane il principale canale di espressione dell’interiorità e per questo psicoanalisi e psicomotricità concordano nel sostenere che la collocazione del nucleo basilare dell’Io è proprio nel corpo, in quanto “spazio in cui si va definendo l’identità dell’individuo stesso” (Boscaini 2009).

La psicomotricità sia dal punto di vista teorico che operativo, può essere definita come la scienza che studia l’uomo nella sua globalità psicocorporea, strutturale e funzionale... (Boscaini 2009).

L'intervento psicomotorio

Lo psicomotricista, in quanto professionista esperto del linguaggio corporeo e del non verbale, è attento al benessere e ai bisogni della persona e “si assume l’impegno di aiutare le persone che chiedono aiuto attraverso un’accoglienza empatica che è in primo luogo corporea” (Boscaini 2002).

Il professionista considera l’individuo in tutta la sua interezza ascoltando il corpo e il suo linguaggio, che manifestano l’identità della persona.

L’osservazione psicomotoria rappresenta uno dei suoi strumenti di lavoro in quanto tiene conto del soggetto che si esprime e si relaziona con l’altro, attraverso una valutazione delle competenze e dei parametri psicomotori, quali per esempio l’equilibrio, la coordinazione, la lateralità, il ritmo e il tono in una lettura interattiva, globale ed evolutiva.

L’attenzione dello psicomotricista non è rivolta al sintomo ma alla sua espressività nella vita del soggetto sul piano motorio, cognitivo, affettivo-relazionale e comportamentale.

Lo scopo dell’intervento psicomotorio, tanto in ambito clinico quanto a livello preventivo-educativo, è quello di aiutare la persona a raggiungere il benessere, a ritrovare un equilibrio personale, a sviluppare in modo armonico le tappe psicomotorie strutturando la propria identità in vista di una personale individuazione e autonomia.

Per questo lo psicomotricista si avvale di un setting specifico (il setting psicomotorio) costituito di spazi e oggetti particolari e significativi, organizzati secondo una logica volta a favorire l’emergere dei bisogni fondamentali dell’individuo.

Ogni incontro con un bambino è nuovo ed è una continua scoperta. Si tratta in realtà di più mondi che s’incontrano. Per lo psicomotricista è l’intersecarsi di più realtà che vengono a incontrarsi in sala di psicomotricità mostrandosi in tutta la loro interezza. C’è il mondo del bambino che arriva con timore, con l’incognita del motivo per il quale è stato portato, con fantasie e aspettative. C’è il mondo del genitore che giunge alla ricerca di una risposta, di un aiuto per la difficoltà che si trova a vivere in quella fase di crescita con il proprio figlio, spesso mosso da una sollecitazione avuta dalla scuola 0 spinto da una fatica personale, emersa in famiglia. I genitori giungono alla consultazione con una richiesta di aiuto per il problema incontrato con il proprio bambino, che manifesta capricci, disagio, crisi o altri segnali.

Infine vi è l’incontro con il mondo dello psicomotricista, una realtà ancora nuova, poco conosciuta e spesso fraintesa. Lo psicomotricista è formato per andare incontro alle richieste della famiglia e si predispone ad accogliere un bisogno in una prospettiva aperta a evidenziare più le risorse e le potenzialità dell’individuo che le problematicità. In anni di lavoro abbiamo evidenziato che non sempre la domanda del genitore corrisponde a quella del bambino. Alla base del disturbo manifesto esiste una richiesta da parte del bambino che è difficile da leggere e comprendere se non all’interno di un setting specifico professionale.

Nel mio lavoro con i bambini ho sempre apprezzato la disponibilità e l’apertura dei genitori a capire, a cogliere il problema, affidandosi con fiducia e facendosi sostenere in un percorso che non lavora solo sul bambino, ma sull’intero sistema. E così talvolta sfugge da parte di qualche genitore l’espressione “la psicomotricità serve più a me che a mio figlio…” E questo è tanto più vero se si considera che un intervento di cambiamento deve tener conto dell’intero sistema che circonda il soggetto: dalla famiglia alla scuola, fino all’ambiente circostante.

Ma di quali strumenti si avvale lo psicomotricista? Di quali tecniche?

La formazione dello psicomotricista integra “il sapere” al “saper fare” con nuove competenze, come il “saper essere” 8 il “saper essere insieme” … (Boscaini 2008). In psicomotricità il professionista mette a disposizione la sua formazione psico-corporea personale con il soggetto in aiuto, offrendogli la possibilità di identificarsi. Le tecniche messe in campo sono molteplici e variegate: la mediazione corporea, l’espressione
grafico-pittorica, la proposta ritmico-musicale, il rilassamento psicomotorio, una varietà di esperienze volta a far emergere il piacere psico-corporeo attraverso un’elaborazione dei vissuti negativi, per favorire l’attivazione psichica.

Come diceva Winnicott “Più di qualsiasi altro comportamento, sono i giochi che dimostrano lo sviluppo di una vita interiore del bambino”. Nel gioco il bambino esprime se stesso, il suo mondo, la sua realtà, ma anche i suoi desideri più profondi e i suoi vissuti interiori: nel gioco appaiono la rabbia o l’aggressività, se presenti, oppure la difficoltà a stare nelle regole, il rispetto dei ruoli, per fare qualche esempio.

Attraverso l’attività ludica il bambino può usare un canale privilegiato in cui esprimersi e far emergere i suoi bisogni e desideri più profondi. Sempre attraverso il gioco lo psicomotricista ha la possibilità di accedere al linguaggio del bambino, aiutandolo a elaborare quei vissuti che richiedono una trasformazione, per sbloccarsi e per avanzare serenamente alla tappa evolutiva successiva.

Questo avviene innanzitutto attraverso la condivisione profonda e l’ascolto empatico del bambino, che si avvale tanto del gioco con mediatori e oggetti, quanto del contatto e del contenimento fisico, per far sentire i confini di un sé corporeo strutturato in divenire attraverso esperienze piacevoli ma anche di frustrazione, se necessario.

La risposta empatica del terapista avverrà soprattutto a livello non verbale attraverso lo sguardo e l’ascolto profondo. Questo mettersi a disposizione dell’altro nello scambio reciproco attiva il desiderio dell’individuo di emergere con la propria personalità, ricercando un equilibrio nella definizione della propria identità.

La psicomotricità è attenta a qualsiasi sfumatura delle espressioni del corpo. Lo psicomotricista ha gli strumenti per leggere gli indicatori psicomotori della memoria corporea, sia di esperienze piacevoli sia di sofferenze più o meno marcate. Non solo, ma nella presa in carico cerca di condividere qualsiasi esperienza, positiva o meno, riconfermando il corpo come primo luogo di parola, ritrovando e riformulando il contenuto comunicativo della sintomatologia. Differentemente da altre professioni, lo psicomotricista non si propone di eliminare tout court la sintomatologia ma si prefigge di aiutare a non inibire o nascondere il bisogno bensì di favorirne l’espressione e l’evoluzione in vista di una progressiva elaborazione, superamento e autonomia.

A cura di Luisella Boccini, pubblicato su Smile – Nr.1 – Aprile-Maggio 2016

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